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La Casa Museo


  
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Nell'attesa che si facesse vivo Charles mi guardavo intorno e guidato dalle mie nuove amiche imparavo a sincronizzarmi al ritmo grave di quel paese sonnolento. Di solito alla mattina andavo a spasso provvisto di matita, gomma e cartamusica perché mi piaceva, quando il tempo era bello, sedermi sulle rive della Vivonne per pescare ritmi, frasi e incanti dimenticati. Del resto ero lì anche per quel motivo, per poter scrivere musica in un ambiente ricco di suggestioni e idealmente idoneo alla creazione di elaborati artistici alimentati da un'ispirazione costante che sembrava traspirare dal suolo di Combray, di Tansonville, di Meseglise.

Il pomeriggio invece lo passavo spesso con Albertine. Andavo a tenerle compagnia in negozio perché Andrée era impegnata quasi ogni giorno con i suoi numerosi pazienti, che come lei diceva, andavano a quegli incontri per farsi spiegare da un'estranea tutti i loro sogni, i ricordi, i malumori, i rimpianti tardivi. Cinquantacinque minuti per decifrare i guasti di un'intera vita.
- Cose da pazzi, - le faceva eco Albertine pensando all'occupazione della sua compagna,
- Qui come grado di follia andiamo ben oltre le scarpette rosse di Oriane.

In realtà ho poi capito che Albertine non era così sbrigativa come voleva dare a intendere.
Amava il pensiero, le lettere e la scrittura, aveva letto tutto quello che è necessario leggere
e dimostrava grandi competenze in tutte le scienze umanistiche.
Questo aspetto si rifletteva anche per lei nel linguaggio verbale, che sapeva costruire sapientemente su citazioni e massime piegate ai più diversi contesti.
Se poi nel suo dire, non riusciva a infilare una citazione, Albertine traduceva il suo pensiero utilizzando in larga parte le forme del linguaggio scritto mentre raramente si serviva di quelle proprie del linguaggio parlato.
Era davvero un'esperienza curiosa sentirla parlare.
Mi spiegò che per lei le parole erano importanti perché il nostro pensiero cosciente è interamente verbalizzato
e quindi non essere padroni della lingua ci condanna a pensare pensieri semplici, rozzi e sgrammaticati.
Albertine era bellissima, bionda e leggermente lentigginosa, bianca come il latte,
grandi occhi verdi aperti a tutti, e io ne ero un po' innamorato.
Le chiesi perché aveva lasciato il lavoro alla Casa Museo di Proust, come avevo saputo da Andrée.
Rispose che non era stata lei a lasciare quel lavoro, l'avevano licenziata da un giorno all'altro.
- In comune avevano bisogno di fare spazio a due ragazze della Combray dei notabili ed eccomi qui,
in questo posto assurdo, a vendere cianfrusaglie ridicole.
In quel momento si aprì la porta del negozio e fui sorpreso di vedere entrare Annie,
la mia desiderabile padrona di casa che entrava attratta da un nuovo modello di scarpette rosse di Oriane
esposte in vetrina.
Ma anche la procace matrona rimase sorpresa di trovarmi comodamente seduto accanto ad Albertine.
- Ciao Annie vieni, stavamo proprio parlando delle tue adorabili nipoti,- disse Albertinecon una punta di ironia mentre le andava incontro.
Fu sufficiente ad Annie una rapida occhiata per valutare come intima la prossimità tra me e Albertine
e la vidi rallegrarsi al pensiero dei pettegolezzi piccanti che avebbe potuto diffondere ed alimentare nel paese e i suoi dintorni.
Quella donna mi faceva davvero sangue.
- Anche lei Adriano avrà conosciuto le mie nipotine, perché sarà sicuramente andato a visitare la nostra Casa Museo. Una di loro è quella occupata al banco del ricevimento mentre l'altra è la guida e conosce mille aneddoti e storielle interessantissime su tutti gli oggetti e i quadri che legano quella casa al capolavoro del nostro grande Marcel. Sono deliziose non è vero?

Mentre valutavo malignamente che dell'opera del "nostro grande Marcel" la mia desiderabile affittuaria aveva forse letto al massimo una riduzione per scolari, mi tornò alla mente un episodio piuttosto divertente che mi vide coinvolto durante la visita alla casa di zia Leonie. Rirornai con il pensiero al giorno di quella visita.
Dopo avere osservato commosso il giardino della casa, dove i genitori di Proust chiaccheravano con Swann mentre prendevano il fresco della sera, ero entrato nell'edificio dove fui accolto da due signorine che avendomi riconosciuto come italiano mi consegnarono con orgoglio tre paginette nella mia lingua, stampate da un vecchio attrezzo a getto d'inchiostroe ormai quasi completamente sbiadite.
Il testo che commentava le foto male inquadrate era impreciso e lacunoso ma io ringraziai con calore quelle ragazze e mi avviai del tutto assorto ed emozionato a scoprire la cucina dove Françoise cucinava il suo famoso bue in gelatina, e poi il piano superiore con le camere da letto, la vista sui tetti, la lanterna magica e il libro di Françoise le Champi in bella mostra vicino al letto dello scrittore.
Non mi resi conto che contemporaneamente si svolgeva una visita, guidata da una nipotina di Annie e quando fui raggiunto non prestai attenzione alle sue spiegazioni, intanto perché parlava un francese ancora troppo veloce per le mie capacità linguistiche e poi perché non avevo nessuna intenzione di conformarmi ai ritmi del gruppone.
Quindi continuai il mio percorso solitario, rinunciando a seguire la scia degli altri pellegrini che preferivano ascoltare le spiegazioni della ragazza, annuendo trasognati ad ogni sua parola.
Una volta terminata la visita, quando fu il momento di uscire, vidi che gli altri visitatori lasciavano una mancia alla guida che avevano seguito durante tutto il percorso.
E naturalmente anch'io volevo lasciare un ringraziamento, ma mi accorsi che avevo solo una banconota da cinquanta euro, troppo per le mie tasche. Mi sembrò ridicolo e offensivo chiedere alle nipoti che mi cambiassero la banconota e così mi avviai verso l'uscita insieme agli altri visitatori, ma venni richiamato al banco dell'accoglienza dalle due ragazze che si dimostrarono davvero maldisposte nei miei confronti. Mi chiesero di restituire quei fogli sbiaditi che mi avevano donato all'ingresso perché si erano accorte che erano l'ultima copia in lingua italiana rimasta e quindi non potevano assolutamente privarsene.
Era il loro modo di punirmi per non avere lasciato la mancia alla guida

Riconsegnai senz'altro quei fogli, mortificato per quel malinteso ma anche un po' divertito nell'osservare come quelle ragazze fossero totalmente immuni dal considerare che durante la mia visita, come tutti gli altri pellegrini, avevo scattato decine di fotografie con il mio cellulare, immagini in alta definizione, bene inquadrate, nitide e che quindi il loro depliant non era così utile e prezioso come sembravano pensare.
Ma l'aspetto di quell'episodio che più colpì fu il pensiero di quelle povere ragazze,
assolutamente immuni alla magia e alla sacralità di quel luogo perché imprigionate nella triste realtà impiegatizia di una provincia di cui non percepivano più la grandezza passata, quella stessa grandezza che avrebbero dovuto indicare oiai visitatori, perchè non sapevano più coglierne il fascino.
In termini più chiari, le due nipotine non avevano capito dove erano né cosa stessero facendo.

Ma naturalmente di tutto questo non dissi nulla ad Annie. Non avevo nessuna intenzione di guastarmi con lei
che continuava a mostrare un certo interesse per la mia persona ed esprimeva con calore la sua benevolenza attraverso lunghi e intensi sguardi non privi a mio parere di sottintesi audaci.
- Ho sentito che sta cercando Charles, il matto del paese. Non le bastava la compagnia di Albertine e Andrée,
mi chiese mentre provava le scarpe rosse che aveva visto in vetrina.
Risi a quella battuta che voleva essere spiritosa, ma che non divertì Albertine.
Allora le spiegai per la seconda volta che uno dei motivi che mi portavano in quei luoghi era relativo a una ricerca che stavo conducendo su mio nonno, un noto musicista tedesco scomparso nel 1940.
Vidi che affiorava qualcosa tra i suoi ricordi, aveva già sentito questa storia, ma quando?
Ebbi così una prima avvisaglia che il processo di deterioramento da Alzheimer si era prematuramente avviato ai danni della mia procace padrona di casa. Ma continuai a informarla, incurante della certezza che si sarebbe dimenticata tutto dopo un quarto d'ora.
Le dissi di avere sentito che uno dei nonni di questo Charles veniva dalla Germania e io volevo conoscere da lui
la storia di quell'uomo, cosa lo aveva portato a Combray e se aveva conosciuto altri tedeschi
che stavano in paese tra il 1920 e il 1930.
Questo era il motivo che mi spingeva a cercare Charles, perchè matto o non matto forse poteva darmi informazioni molto importanti, conclusi in modo sbrigativo perchè ormai certo di avere perso la sua attenzione.
- Lei non conosce quello svitato, - concluse Annie mentre pagava le sue scarpette rosse,
- io si purtroppo, perchè lo frequentava quel disgraziato di mio nipote, quello che poi è scappato in città, lasciandomi la casa nelle condizioni che ha visto.
Se riesce a tirare fuori da quell'uomo due frasi sensate, tutte in fila, può ritenersi fortunato.
Non si capisce cosa dice, di cosa parla, abita un mondo di fantasmi e parla con loro, vive da solo, con nove cani in casa, è completamente andato con la testa, lo dicono tutti. Come può esserle utile, Adriano, uno così?
 
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