E' passato più tempo del solito dall'ultimo aggiornamento di questo diario.
Sono stato occupato a riordinare la mia vita, a trovare un nuovo lavoro,
sistemare la casa, imparare i ritmi e i modi cittadini.
Quello che ancora non sapevo quando mi sono trasferito a Torino
è che le città insegnano, spesso brutalmente, a vivere nella solitudine.
E' per questo motivo che ho iniziato a frequentare di sera alcune osterie del quartiere,
cercando gente con cui parlare, o anche solo ascoltare, qualcuno per stare vicino agli altri.
Le prime sere non dicevo niente, stavo seduto al mio tavolo,
bevevo un bicchiere e ascoltavo i discorsi dei vicini.
Poi ho conosciuto Pablo.
Arrivava prima degli altri con la sua chitarra,
sedeva sempre allo stesso tavolino vicino alla finestra,
chiedeva un bicchiere di rosso e iniziava a suonare.
Il locale si riempiva un po' per volta di gente che arrivava chiacchierando e ridendo
prima di essere raggiunta da un accordo, una frase chiara che cadeva su un silenzio casuale della sala.
E allora abbassavano il volume della conversazione e iniziavano ad ascoltare con attenzione crescente quella melodia continua che ripeteva la stessa frase in mille variazioni,
dove la fine di una frase era già l'inizio di quella successiva.
A metà serata molti erano seduti al suo tavolino,
il musicista parlava con tutti senza smettere di suonare,
magari solo la linea del basso, o a volte l'accompagnamento.
E la musica continuava ad uscire senza interruzione dalla sua chitarra.
Solo dopo averlo ascoltato per alcuni giorni
ho trovato il modo di rivolgergli la parola, quando il locale era ancora vuoto.
Sono uno studioso di musica, gli ho detto, mi chiamo Adriano.
Mi ha riconosciuto come uno dei suoi ascoltatori più attenti e si è presentato:
"mi dicono Pablo perché suono la chitarra."
Quando ha visto che avevo riconosciuto la citazione ( "Il compagno" di C. Pavese),
ho capito di aver trovato il mio primo amico a Torino.
Pablo mi ha fatto conoscere la città.
Gli piace camminare chiacchierado e nelle nostre lunghe passeggiate serali mi ha raccontato della sua vita,
di sua figlia già grande e che ormai "fa l'occhio ai giovanotti", dei tre santi sociali e dei tre grandi alchimisti vissuti in questi luoghi. Mi ha mostrato i centri della magia bianca e della magia nera.
Poi ha voluto ascoltare per intero la storia del mio nonno compositore e della sua pazzia.
E allora abbiamo ancora parlato di Nietzche, morto folle come il nonno, e Pablo mi ha portato a vedere il teatro Carignano dove il filosofo ascoltando La Carmen di Bizet, è guarito dalla malattia del Wagnerismo.
Insomma con Pablo si poteva parlare di ogni cosa.
Ma non di sua moglie e della loro separazione;
quando gli ho chiesto come era andata è rimasto in silenzio,
certe risposte non le dava; rispondeva così, stando zitto.
Ieri siamo andati fino a San Mauro in bicicletta, ci siamo seduti sull'argine,
per mangiare pane e salame e bere una bottiglia guardando il fiume.
Pablo è rimasto legato ai piaceri semplici, annusa l'aria e sente il cambio delle stagioni.
Ha ancora voluto sapere di mio nonno;
anche lui ha letto Doctor Faustus
di Mann,
conosceva la storia di Leverkuhn ma pensava
che fosse una pura invenzione lettereria.
Forse lo pensa ancora e a suo modo si preoccupa per la mia salute mentale, come Linda.
Ma il suo modo di preoccuparsi è di non darlo a vedere, così abbiamo parlato d'altro.
Gli ho chiesto della sua musica, come nasce quella che gli ho sentito suonare in osteria, o da dove arriva.
Mi ha spiegato che lui inventa un giro armonico e per tutto il giorno suona quello,
in tutti i modi, con tutte le variazioni, trasporti, inversioni, ..tutto,
ma sempre sulla stessa armonia, per tutta la giornata.
E alla sera, in osteria se ha voglia di suonare riprende quell'idea e la sviluppa ancora.
Quel giro è la storia della mia giornata, dice Pablo,
per quello ogni giorno c'è un'unica musica che cerca il suo sviluppo,
una melodia che segue il ritmo e le strade dei miei pensieri
di quelle ore
e il giorno dopo cambia ed è completamente diversa,
perchè non potrà mai esserci un giorno uguale all'altro.
Una forma musicale singolare, ho osservato, che si spegne il giorno dopo,
senza lasciare testimonianza
scritta per il rifiuto ostinato di presentarsi in un formato definitivo e chiuso.
Mi ha risposto che la sua musica non interessa a nessuno,
che adesso va di moda il recitativo e lui è troppo vecchio per riciclarsi nella "urban music",
quindi non vale la pena di impacchettare i suoi pezzi in una forma chiusa
e prepararli per una distribuzione che obiettivamente non è mai stata nei suoi piani.
Quella sera ho provato grande ammirazione per l'innocenza sincera
che accompagna il suo naturale distacco dalle ambizioni
più comuni.
Pablo partirà domani per Roma,
dice che deve andarsene per dimenticare una donna,
dice che dietro a ogni Pablo c'è una Linda.
Non sa che mia moglie si chiama Linda,
e lo dice riferendosi al romanzo di Pavese
ma mi ha colpito la coincidenza dei due nomi
e una certa somiglianza di caratteri tra la Linda reale,
quella che un giorno ho sposato
e quella letteraria descritta dallo scrittore.
Quando ho chiesto a Pablo del suo ritorno
ha sorriso dicendomi che dar tempo al tempo è il miglior rimedio da che mondo è mondo.
Mi è sempre piaciuto questo suo modo particolare di parlare per proverbi, aforismi, citazioni,
con la lieve sfumatura ironica implicita nell'esposizione di tutte le massime sapienziali,
un'ironia intelligente che gli da la capacità straordinaria di saper sorridere anche quando è solo.
Mi mancherà sicuramente ma sentivo mancare anche i miei studi solitari,
le mie carte, i miei pensieri e la mia pallida musa trascurata.
L'ultima volta che l'ho sentito suonare
ho voluto prendere nota degli accordi che costruivano il giro armonico di quel giorno
per provare a ricostruire lo stile e i percorsi delle sue variazioni melodiche
in base del ricordo musicale che mi è rimasto di quella serata.
Un proposito assurdo e che va certamente oltre le mie capacità
tecniche e musicali.
Ma come dice Pablo, "dai tempo al tempo..".
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