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La mattina del mio primo risveglio in Francia
ho confermato per altre due notti la camera dove avevo dormito
e poi sono partito per Combray.
Il progetto era di guardarmi intorno e trovare una modesta dimora in paese
dove soggiornare per tutto il tempo necessario
allo sviluppo dell'indagine
che mi aveva portato in quei luoghi
e dove avrei potuto scrivere musica nelle condizioni di straordinaria eccitazione fantastica
che quegli ambienti destano in me per molte ragioni.
Erano questi i motivi che spiegavano la mia presenza a Combray.
Per quanto riguardava l'indagine, il proposito era quello di scoprire dove aveva abitato Adrian Leverkühn,
per quanto tempo e perché
era tornato da questo villaggio in uno stato di semifollia
che presto degenerò nella forma di pazzia devastante e distruttiva che si racconta,
e che lo accompagnò fino al suo spegnersi, nell'agosto del 1940,
risparmiandogli almeno l'ultima guerra mondiale e tutti i suoi orrori.
Cosa aveva trovato di tanto sconvolgente
da poterlo ridurre in quello stato di disperato delirio?
Speravo che il comune di Combray
conservasse un vecchio documento di registrazione di quell'unico residente tedesco.
O forse gli eredi di qualche antica abitazione del paese
ricordavano che c'era stato un inquilino straniero dai loro genitori, o magari dai nonni.
Tutto poteva essere, come ho anticipato nel prologo di queste pagine.
Mi sono fermato per fare colazione prima di arrivare in paese,
ero emozionato, molto, proprio quello che stavo cercando, e me la godevo.
Ho posteggiato l'auto vicino ad un ponticello che forse portava dalla parte di Swann,
e mi sono consegnato al lieve incanto di luoghi di cui custodivo immagini precise
perché da anni abitano la mia memoria di lettore praticante di Proust,
che adesso potevo correlare, o forse giustapporre, come direbbe lo scrittore,
alla visione che gli abitanti di Combray hanno del paese che abitano
dopo averlo sistemato con buon gusto e decoro all'ombra del grande scrittore.
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Ho camminato per le strade, ho visto la stazione dove arrivava la famiglia Proust da Parigi,
ne ho seguito il percorso fino alla casa di zia Léonie, che era la loro abitazione in quei mesi di villeggiatura,
ho visto il giardino ornamentale Pré Catelan che Marcel frequentava perché era di suo zio.
Ho visitato
la chiesa e girato per tutte le botteghe che offrono madelaine di autentica ricetta,
ho curiosato nei negozi di ricordi e poi sono andato in cerca di inquadrature comuni
tra il tempo passato e quello presente.
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Solo quando mi sono seduto in riva al fiume
ho realizzato di non essere mai stato solo in questa esplorazione allucinata
e guardandomi intorno ho capito che Combray è diventata meta di pellegrinaggio
per i proustiani di tutto il mondo, viandanti che vagano assorti per le vie del paese
in cerca della loro visione di un tempo perduto da altri,
e che riconoscono come loro Santuario la casa museo di zia Léonie.
Non ero il solo a pensare che da quelle parti si trovasse una fonte di arte purissima, e chissà cos'altro.
Un buon numero di visionari come me si aggirava per quelle strade come dentro un sogno,
alcuni scattavano foto con il cellulare, altri camminavano per quei luoghi come chi si è smarrito.
Ho sorriso pensando che la Compagnia d'Oriente era sopravvissuta a tutte le tempeste del secolo breve
e Combray era diventata una delle sue capitali.
Poi mi è venuta fame e così sono tornato al ponticello che porta a Méseglisé
perché proprio di fronte al ponte c'è un bar trattoria a menù fisso frequentato da gente del posto.
Dicono che un'esperienza importante per capire i popoli di altri paesi sia quella di mangiare il loro pane,
io ci ho aggiunto omelette e insalata e mi sono messo a sfogliare
un libro di vecchie foto del paese che avevo con me.
La cameriera che serviva il mio tavolo, una volta viste quelle fotografie, si è rilassata e bendisposta;
aveva capito con chi aveva a che fare,
uno di quei matti che girano numerosi per il paese in cerca di un miraggio, di un messaggio dal passato.
Una volta tornata al banco deve averlo comunicato anche agli altri,
perché improvvisamente mi guardavano tutti in modo amichevole e velatamente ironico,
sorridendo tra loro come chi sa anche altre cose ma non ne parla con tutti. |
Quando la cameriera è tornata con il caffè mi ha detto,
E allora anche lei è qui per lo scrittore.
Poi mi ha chiesto da dove venivo, se mi piaceva il posto e quanto mi sarei fermato.
Era il suo invito a conoscerci, davvero carino, così ho accettato volentieri la sua proposta
e le ho risposto che cercavo casa, che sono un musicista
e avrei voluto fermarmi in paese per qualche giorno.
Ho provato a dirle che ero venuto per passeggiare, scrivere musica, riordinare le idee
ma c'è voluto un po' di tempo per convincerla che non volevo prenderla in giro o scherzare,
forse perché trovava irresistibilmente comico il modo libero e arbitrario di esprimermi nella sua lingua,
e non sempre riusciva a trattenere il riso mentre mi spiegavo.
Poi quando ha finalmente capito che parlavo seriamente
mi ha detto che avrebbe dovuto pensarci ed è ritornata velocemente al bancone.
Ha abbassato la voce prima di rivolgersi ai clienti che erano nella zona bar
e a un certo punto tutti i presenti mi guardavano continuando a parlare tra loro,
mentre io iniziavo a chiedermi se la situazione era più buffa o imbarazzante.
Dopo una lunga serie di occhiate, sorrisi, ammiccamenti da parte di tutto il gruppo
la cameriera è tornata con una bottiglia di acquavite che offriva la casa per dirmi
che una sua cugina aveva una piccola abitazione vuota vicino al viale che porta alla stazione,
dove avrei potuto stare comodo e tranquillo pagando un affitto davvero basso,
perché conforme allo stato di manutenzione di quell'edificio disabitato da più di un anno.
Ovvero la condizione di affitto basso richiedeva come contropartita
un inquilino che si distinguesse per quella naturale e spontanea vocazione ad accontentarsi,
che come molti sanno, non è nella disponibilità di tutti.
Quando ho chiesto di vedere la casa, un ragazzino è partito di corsa per cercare chi aveva le chiavi.
L'abitazione comprendeva una camera grande con il letto,
una scrivania spaziosa e un minuscolo tavolino dove consumare i pasti,
una piccola cucina con fornello a bombola,
un lavandino e un frigorifero che sembravano quelli di una bambola.
E il gabinetto, dove avevano trovato spazio per una piccola doccia e la sua tenda.
Era esattamente tutto quello di cui avevo bisogno e che avevo sperato di trovare.
La proprietaria, una cinquantenne di bell'aspetto che mi accompagnò in questa visita,
e che al principio mi era sembrata diffidente e contegnosa,
smentì facilmente il mio
primo giudizio perché manifestò ben presto la sua natura cordiale e chiacchierona.
Mi informò che quella casa era stata l'abitazione di un suo nipote che più di un anno prima era scappato a Chartres senza salutare nessuno, ma lasciando un biglietto dove spiegava che aveva deciso di abbandonare per sempre quelle vaste pianure silenziose e tristi, quindi pregava tutti di non cercarlo mai più.
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La casa è rimasta sfitta per più di un anno, disabitata, abbandonata.
Lei potrebbe riportarla in vita, mi ha detto Annie, ormai ci chiamavamo per nome.
Con l'ultimo sconto che sono riuscito a strapparle ci siamo accordati per una somma ragionevole
un buon compromesso, di quelli che accontentano tutti,
perché Annie non avrebbe mai pensato di poter affittare quel rudere maltrattato,
e io mi ero garantito la possibilità di svolgere l'indagine in modo accurato, sistematico,
nei tempi prevedibilmente dilatati che avrebbe richiesto,
e avrei potuto studiare musica in tutta tranquillità, passeggiare, scrivere, pensare.
Quella sistemazione garantiva le condizioni per un lungo soggiorno a Combray
Per chiudere l'accordo Annie ha poi preteso in modo poco cavalleresco due mesi di affitto anticipati.
Ma lei naturalmente non è un cavaliere, Annie è una dama, e lo sa bene,
perchè nel corso della trattativa non ha mai trascurato il vantaggio garantito dalla sua femminilità vistosa,
mentre le sue sapienti arti seduttive, coscientemente attive e tutt'altro che appassite,
mi informavano nel linguaggio universale della comunicazione corporea
che l'avvenente vedova cinquantenne poteva considerare in modo favorevole
l'ipotesi di un nostro incontro di natura fisica,
come libera elaborazione del modello ormai poco rappresentato della padrona e il suo inquilino.
Comunque ero troppo stanco per gestire un imprevisto del genere;
alla fine di quella giornata non riuscivo neanche a immaginare
un'eventualità così lontana dal mio percorso ideale,
costruita oltretutto su segnali e gesti che probabilmente avevo frainteso o
inventato di sana pianta.
Annie mi avrebbe consegnato solo dopo due giorni le chiavi della mia nuova abitazione
perchè voleva prima pulire la casa, portare via alcune cose e provvedere alle riparazioni più urgenti.
E io avevo voglia di tornare alla mia stanza sulle colline di Perche,
avevo bisogno di fare una doccia, rilassarmi, raccogliermi.
Le forti emozioni di quella lunga giornata reclamavano una digestione lenta,
che mi suggeriva di fermarmi in quel parco, nell'attesa di trasferirmi a Combray.
Avevo tutto il tempo necessario per scrivere musica, la tranquillità, la concentrazione, gli argomenti
e un'idea formale, che ho provato a sviluppare nello Studio 58 - Combray.
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