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Resurrezione

  
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La conversazione avuta finalmente con Charles, o meglio, il suo lungo monologo, mi precipitò in uno stato di confusione devastante. Il mito, il modello su cui si era costruito il Super-Io dei miei ultimi anni, si precisava alla fine delle mie ricerche come un miserabile mascalzone senza cuore, capace di abbandonare con pochi riguardi una moglie e una figlia, capace di mentire e nascondersi per anni alla sua amante italiana fedele e appassionata. Insomma, un tipaccio infrequentabile.
Rimpiangevo tutto il tempo perso aggrappato all'illusione che il genio e il talento del nonno, del grande Adrian Leverkühn potessero essere ereditari, come certe malattie o il colore degli occhi che saltano una generazione per poi riaffermarsi in quella successiva. Elaborando tutte le notizie che Charles mi aveva scagliato addosso con rabbia, arrivai ad ammettere in tutta franchezza che l'unica impronta che sentivo di riconoscere come trasmessa era il suo indubbio disordine mentale.

Così passai molti giorni chiuso in casa, a guardare dalla finestra i pochi passanti che andavano o venivano dalla stazione. Provai a rifugiarmi nella musica per fuggire dall'incubo riciclato di trovarmi, al risveglio trasformato in un grosso scarafaggio e mi misi a progettare una serie di landler in stile viennese per idealizzare una nostalgia inventata di musiche che non avrei mai potuto ascoltare, suonate su battelli dove non ero mai stato che navigavano il Danubio, un fiume che non avevo mai visto. Mi misi poi ad inseguire l'idea, scambiandola per una geniale intuizione, che la musica è un'arte sprecata se utilizzata per descrivere il linguagio umano (i discorsi di Andrée), mentre nel suo gradino più alto è imitazione del pensiero puro, quello più profondo, quello non verbalizzabile.

Per farla breve le informazioni che finalmente e dopo tanto insistere avevo ottenuto da Charles, mi avevano lasciato in uno stato di totale prostrazione, tanto che rimasi a vaneggiare per parecchi giorni, non saprò mai quanti, immerso in una guazza di pensieri torbidi e malati.

Fu Albertine a salvarmi quando, preoccupata per la mia lunga assenza, venne a bussare ai vetri della finestra per sapere se stavo bene. No, non stavo bene e le bastò un'occhiata per capirlo.
Le preparai un caffè mentre lei si guardava intorno, cercando di ricostruire attraverso i libri, i fogli e le mille cianfrusaglie di cui mi ero circondato, la vita indecifrabile di un vecchio scapolo un po' rimbambito che per qualche motivo si era votato a un regime di irragionevole clausura. Mi chiese cosa era successo e decisi di raccontarle tutto, il mio incontro con Charles, le notizie che mi aveva dato, la mia confusione e il mio smarrimento; da molti giorni non parlavo con nessuno e mi resi conto che mi faceva bene vuotare il sacco. E poi mi piaceva parlare con Albertine; spesso ho avuto modo di vedere che non sono molti quelli che riescono ad ascoltare con attenzione chi sta parlando; i più sono impegnati a formulare una risposta ad affermazioni che non hanno mai catturato il loro interesse, ansiosi di riuscire a prendere la parola alla prima occasione, parola che poi terranno con pugno fermo a costo di alzare il volume in modo ridicolo per coprire chi volesse osare un commento o fare una domanda che li allontanerebbe dal loro percorso predefinito. Un po' nello stile di Andrée.
Albertine non era così: la osservavo mentre mi ascoltava con la più sincera partecipazione empatica rivolgendo solo raramente alcune domande per aiutarmi a chiarire la mia narrazione disordinata, a restituirle quella coerenza che dopo giorni di solitudine e vaneggiamenti doveva essersi smarrita. Mi convinse con dolcezza a uscire da quel rifugio insalubre per tornare a respirare l'aria di fuori, a parlare ancora con i miei simili ("è ovvio che nessuno è uguale a te, ma alcuni ti sono simili", diceva), mi esortò a recuperare il presente e lasciare il passato alle spalle. Per poi provare addirittura a dare un'occhiata al futuro visto che non ero così decrepito come mi vedevo. Con grande cautela provò anche a introdurmi all'idea che qualche chiaccherata con Andrée avrebbe potuto aiutarmi, perché molti dei suoi pazienti più fortunati, quelli che dopo alcune sedute nutrivano la speranza di sentirsi "normalizzati", avevano preso a considerarla come il miglior medico dell'anima dell'intera regione, mi disse ridendo, e in questi termini erano soliti descriverla a tutti.
Per consolidare il mio impegno a uscire dal buco dove mi ero nascosto, Albertine riuscì a strapparmi la promessa che sarei passato il giorno dopo dal loro negozio; avremmo continuato a parlare e avrei ritrovato il mio ritmo, ricostruito le mie abitudini e sarei presto tornato ai piccoli piaceri che alimentano la nostra voglia di continuare a vivere.
Prima di lasciarmi riuscì anche a trovare il modo di suggerirmi con grande delicatezza che fare una buona doccia sarebbe stato di grande aiuto per me e per tutti gli altri. Quest'ultimo suggerimento, lasciato da Albertine poco prima di uscire, mi indusse a guardarmi intorno con occhi nuovi, a capire che mi ero murato in quella stanza fetente per giorni e giorni trascurando del tutto le norme igeniche e dietetiche più elementari, per motivi che dopo quella lunga chiaccherata con lei non mi erano più nemmeno chiari.
Così, con l'aiuto di Albertine sono arrivato alla determinazione che era ora di darmi una mossa.

Quindi il giorno seguente, dopo barba e doccia mi sono presentato nel loro negozio polveroso, con il vago proposito di tornare a vivere. C'era solo Andrée, che ovviamente grazie a Albertine sapeva tutto del mio incontro con Charles, sapeva del mio crollo emotivo e aveva già pronta la diagnosi:
- tu, mio caro hai dovuto affrontare un grave trauma psichico che potrebbe sviluppare episodi di psiconevrosi gravi o comunque molto fastidiosi. Premesso che il processo di formazione delle psiconevrosi sfugge ancora ad ogni analisi, non è difficile supporre che il fattore scatenante del trauma sia stato il colloquio che hai avuto con quello svalvolato di Charles. Tutto questo ti trascinerà , nel migliore dei casi, in uno stato di forte depressione.
Dovremo parlarne e mi sono presa la libertà di fissarti un appuntamento nel mio studio per questo fine settimana.
Tentai di assumere un'espressione atterrita per cercare di nascondere il mio fastidio
- Quanto mi rimane da vivere?
Non fare lo scemo, sai benissimo di cosa stò parlando. Tu hai bisogno di aiuto in questo momento e non sei proprio nella posizione di poterlo rifiutare da chi te lo offre senza chiedereti niente. A proposito, per cambiare argomento, sai che Annie, la tua padrona di casa è passata spesso per chiedere tue notizie?

Mi venne da pensare che "a proposito" e "per cambiare argomento" fossero due espressioni in aperto conflitto tra loro, ma accettai di buon grado il nuovo tema proposto da Andrée.
-Mi fa piacere questa sua premura - risposi. -E lei come stà?
-Lei stà benone. Secondo me ti ha messo gli occhi addosso. Le piacciono gli uomini. Per questo in paese tutti la chiamano "la cortigiana". Lei se ne sbatte e fa bene, è l'unico modo per sopravvivere in questo paese di bacchettoni, pettegoli e maldicenti. Ne sappiamo qualcosa io e Albertine.

Mi resi conto che la mia semplice domanda "come stà?" aveva messo in moto una di quelle interminabili filippiche di Andrée, quelle che si costruiscono su una logica tortuosa e sorprendente, quelle che tento a volte, di tradurre in musica. Così proposi di accomodarci,
- perché non ci sediamo e beviamo qualcosa. Sento che un piccolo incoraggiamento superalcolico potrebbe aiutarmi ad affrontare tutta la depressione che mi si è appiccicata addosso ultimamente.
Mi pentii subito di averlo detto perché avvertii nella frase una carica di ironia quasi aggressiva nei confronti del giudizio professionale di Andrée. La malattia che si difende, direbbe Freud.
Ma intanto lei aveva aperto una bottiglia di Spirito dei Guermantes, quarantadue gradi.
Il mio proposito divenne quello di far ripartire la filippica e ubriacarmi ma serviva un innesco per accendere la miccia di Andrée e quindi formulai una riflessione molto aperta, che la potesse stuzzicare:
- Annie mi ha raccontato che in questa casa, prima che l'affittassi io viveva un suo nipote che un giorno, inaspettatamente è andato a vivere a Chartes senza avvertire nessuno, senza lasciare un messaggio.
Chissà cosa gli è passato per la testa.
- Vuoi sapere come è andata veramente? Quello che non ti ha raccontato è che lei in cambio dell'ospitalità si faceva il nipotino. Quando decideva lei. Per questo, a un certo punto quel ragazzo dovette scappare in città, perché le pretese della zia si facevano sempre più insostenibili e gravose.
Mentre Andrée continuava a parlare mi soffermai a pensare che la mia fantasia porno sul modello "L'inquilino e la sua padrona di casa" era stata anticipata e mortificata da "Il nipotino e la zietta affettuosa".
Ma intanto Andrée aveva spostato l'accento su un aspetto del tutto nuovo, la genealogia fantastica. Storia di nomi.
- E invece ti assicuro che Annie, nonostante le montagne di pettegolezzi che circolano su di lei, è molto rispettata dalla parte più conservatrice del villaggio, perché può dimostrare di essere discendente diretta della Françoise che cucinava e governava la casa dei Proust. E questo le apre le porte dei salotti di quella sorta di nobiltà da Recherche che si sono inventati in questo paese di matti negli ultimi anni. Per essere ammessi bisogna mostrare prove di discendenza da uno dei personaggi citati nell'opera, e questo garantisce il diritto di ammazzarsi di sbadigli durante le loro riunioni.
Annie ha anche cercato di valorizzare la ricetta del bue in gelatina di Françoise, che era sua nonna o una sua zia, non ricordo, e ha aperto un ristorante qui a Combray, Il bue alla Françoise. Ma è fallita dopo un anno perché quel piatto non lo conosceva nessuno e comunque secondo me, la maggior parte dei pellegrini proustiani è vegetariana. Il riferimento al piatto servito a Norpois dalla sua antenata non è mai riuscito ad attirare quel minimo di clientela necessaria per tenere aperto un esercizio commerciale.

Detto questo Andrée si interruppe e mi guardò come se si fosse accorta in quel momento che ero lì anch'io.
Un'espressione piuttosto inappropriata, pensai, visto che mi stava parlando da almeno un'ora.
Ma poi vidi che la bottiglia di Spirito era quasi vuota e mi resi conto che Andrée era ancora più ubriaca di me:
- Adesso le telefono, voglio dirle che stai bene, visto che era così preoccupata per te.
L'idea non mi piaceva per niente ma valutai che convincere Andrée ubriaca a non fare una cosa che aveva deciso era sicuramente al di là delle mie forze.

Annie arrivò in negozio mezz'ora dopo quella telefonata. Gonna, calze nere, tacco, si era vestita scegliendo quegli indumenti che, a suo modo di vedere, erano più seduttivi per un uomo oltre la cinquantina, forse scapolo e sicuramente astinente, visto che frequentavo solo Andrée e Albertine. E per di più era profumatissima, respirare la sua aria era come entrare in un negozio di fiori. Queste indizi mi fecero sperare che Andrée avesse ragione quando diceva che Annie mi aveva messo gli occhi addosso.
Io da parte mia ero già innammorato cotto di quella donna conturbante e generosa.
Non fece domande sui motivi della mia scomparsa ma volle invece congratularsi per il mio ottimo aspetto.
Poi intervenne Andrée che , ancora ubriaca ma con un chiaro disegno in testa, si rivolse ad Annie:
- Il nostro amico in verità, per motivi suoi, non del tutto chiari, si è chiuso in casa per un sacco di tempo e avrebbe un disperato bisogno di respirare aria pura, fresca. Perché non organizzate un pic-nic e lo porti alle fonti della Vivonne, è una passeggiata bellissima.
- Ma certo, - Annie si dimostrò entusiasta dell'idea- la campagna intorno in questa stagione è meravigliosa e poi la sorgente è anche un luogo proustiano di grande interesse. Proust ci fece un pic-nic, proprio come faremo noi domani, che ne dici di domani? Lui veramente rimase un po' perplesso davanti a quella sorgente , forse sperava di trovarsi davanti a qualcosa di ultraterreno, magari le porte dell'inferno, mentre trovò solo una specie di lavatoio quadrato.
Ma non ti preoccupare Adriano, vedrai che tu non tornerai deluso.

  
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